Cassazione Civile, Sezione III, 31 maggio 2010, n. 13208.
Buona fede oggettiva e abuso del diritto nei rapporti di locazione

In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quelle della interpretazione e della esecuzione, comportando, quale ineludibile corollario, il divieto, per ciascun contraente, di esercitare verso l'altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati nonchè, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi della controparte, e quindi, primo tra tutti, l'interesse alla conservazione del vincolo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 17 settembre 2002 il Comune di T intimava sfratto per morosità a I.. s.r.l., conduttrice di un immobile, con annessa zona termale, di sua proprietà. Secondo il locatore, che contestualmente citava l'intimata per la convalida, la società conduttrice si era resa inadempiente nel pagamento dei canoni di locazione.

Resisteva I. s.r.l., la quale eccepiva che il credito vantato dal Comune di T si era estinto per compensazione con il maggior credito, di cui alla sentenza della Corte d'appello di Palermo n. 1051 del 1999, da essa maturato nei confronti dell'ente locatore. Spiegava anzi la convenuta domanda riconvenzionale per la condanna dell'Amministrazione intimante ai danni da lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ..

Con sentenza depositata il 19 febbraio 2004 il giudice adito dichiarava la risoluzione del rapporto di locazione per grave inadempimento del conduttore; rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla parte resistente che veniva altresì condannata al pagamento della somma di Euro 185.924,48, a titolo di penale.

Proposto gravame dalla società soccombente, la Corte d'appello, con sentenza depositata il 10 novembre 2005, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava inammissibile la domanda di condanna di I. s.r.l. al pagamento della somma di Euro 185.924,48, conseguentemente eliminando la relativa statuizione. Confermava nel resto l'impugnata sentenza.

Per quanto qui interessa, così motivava il giudicante il suo convincimento.

La compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243 cod. civ., invocata dall'appellante, presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione sia fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. Nella fattispecie, il controcredito vantato dall'appellante era ancora sub iudice, essendo stato proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo che lo aveva riconosciuto, di guisa che difettava il requisito della certezza necessario alla operatività sia della compensazione legale che di quella giudiziale. Alcuna rilevanza poteva poi avere l'esecuzione data dal Comune, prima dello sfratto, alla sentenza di condanna, non avendo di certo l'Ente rinunciato ad attuare le procedure per la riscossione dei canoni arretrati e per il rilascio coattivo dell'immobile e avendo piuttosto mostrato di voler tenere distinte le due vicende scaturite, l'una, dalla ristrutturazione dell'Albergo delle Terme e, l'altra, dal rapporto di affitto tra Comune e I..

Peraltro, a giudizio della Corte, disattesa l'eccezione di compensazione, restavano tout court travolte anche le ulteriori censure dell'appellante in ordine alla gravità dell'inadempimento addebitato alla conduttrice.

Infine, considerato che la sentenza impugnata veniva riformata solo su un punto marginale della controversia, non sussistevano i presupposti per la condanna alle spese per lite temeraria, ex art. 96 cod. proc. civ..

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, I. s.r.l., formulando tre motivi.

Resiste con controricorso il Comune di T, che propone altresì ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da I. s.r.l. e dal Comune di T avverso la stessa sentenza.

1.1 Col primo motivo l'impugnante denuncia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonchè degli artt. 1241, 1242 e 1243 cod. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Riportato il contenuto pattizio essenziale dell'atto in data 10 aprile 1989, documentante due distinti contratti: quello di appalto, per la ristrutturazione del complesso termale-alberghiero, e quello di affitto, riguardante il medesimo immobile, e ricordato che il credito da essa vantato nei confronti del Comune per i lavori realizzati nell'immobile è stato giudizialmente accertato con sentenza ormai passata in giudicato, evidenzia che il Comune di T, con lettera del 13 settembre 2002, pur contestando il calcolo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sugli importi a tale titolo liquidati a I. s.p.a., aveva tuttavia manifestato l'intento di voler dar corso, a saldo del residuo debito in questione, a due mandati di pagamento, dell'importo, rispettivamente, di Euro 378.234,07 e di Euro 52.563,52, da emettere nei mesi successivi.

Malgrado ciò, il 16 settembre 2002, reputando il credito vantato da I. illiquido e inesigibile, e quindi non eccepibile in compensazione, la giunta comunale aveva autorizzato il Sindaco a promuovere azione di sfratto per morosità ai sensi dell'art. 658 cod. proc. civ..

Sostiene quindi l'impugnante che il giudice a quo, nel negare ingresso all'eccezione di compensazione, aveva applicato i principi in tema di compensazione giudiziale, laddove la società, opponendo che il credito del Comune si era già estinto, quanto meno in coincidenza con la manifestazione di volontà dello stesso di pagare il proprio debito, aveva eccepito la compensazione legale. La sentenza impugnata aveva così violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass. civ. 25 marzo 2004, n. 5947).

Avrebbe altresì errato la Curia territoriale nel respingere l'eccezione di compensazione sull'assunto che difetterebbe, nella fattispecie, il requisito della certezza che l'art. 1243 cod. civ., richiede sia per la compensazione legale che per quella giudiziale, senza considerare che la certezza non è requisito necessario al verificarsi della prima, essendo a questa funzionale solo la liquidità e la esigibilità dei debiti e crediti reciproci. In ogni caso, il requisito in parola si era concretizzato nel corso del giudizio, essendo stato respinto con sentenza del 4 febbraio 2005 il ricorso proposto contro la sentenza della Corte d'appello di Palermo:

in tale contesto, non sussistendo più ostacoli alla operatività della compensazione, la domanda di risoluzione avrebbe dovuto essere rigettata.

Aggiunge ancora la deducente che la Corte d'appello, valorizzando la volontà del Comune di tenere distinte le due vicende giudiziarie, l'una riguardante il compenso dovuto a I. per la ristrutturazione, e l'altra il rapporto di affitto tra il Comune e la stessa I., aveva violato il disposto degli artt. 1241, 1242 e 1243 cod. civ., nonchè i principi generali in matteria di compensazione, posto che questa estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza, a prescindere dalla volontà delle parti.

1.2 Le censure sono infondate, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata debba, in taluni passaggi, essere integrata e corretta, ex art. 384 cod. proc. civ..

Pacifico che l'istituto della compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243 cod. proc. civ., comma 2, presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione medesima è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (Cass. civ. 25 maggio 2004, n. 10055; Cass. civ. 13 maggio 2002, n. 6820), la ricorrente affida l'attacco alla scelta decisoria del giudice a quo ai seguenti, consequenziali rilievi: a) la compensazione eccepita in giudizio era quella legale, non già quella giudiziale; b) la certezza non è prevista dalla legge come requisito della compensazione legale; c) anche a opinare diversamente, il requisito della certezza è sopravvenuto nel corso del giudizio; d) posto che la compensazione legale estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza (art. 1242 cod. civ.), la domanda di risoluzione per morosità andava in ogni caso rigettata.

1.3 A confutazione di tali critiche il collegio osserva quanto segue.

Contrariamente all'assunto dell'impugnante, il requisito della certezza è, per così dire, consustanziale all'istituto della compensazione legale. E' infatti a dir poco ovvio che essa non possa operare qualora il credito opposto in compensazione sia contestato nell'esistenza o nell'ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo laddove la legge richiede, affinchè la compensazione legale si verifichi, siffatto requisito, insieme a quelli della omogeneità e della esigibilità delle reciproche poste debitorie e creditorie (confr. Cass. 18 ottobre 2002, n. 14818).

Venendo al caso di specie, la pendenza di un giudizio avente ad oggetto il credito vantato da I. nei confronti del Comune di T, nel mentre chiarisce le ragioni dell'insufficiente approccio del giudice di merito, che ha ritenuto di dover richiamare, in parte qua, i principi che presidiano l'istituto della compensazione giudiziale, impone di ritenere che correttamente sia stata negata l'operatività della compensazione legale malgrado la manifestazione di volontà del Comune di pagare la somma portata dalla sentenza della Corte d'appello di Palermo. E invero quella determinazione, assunta a fronte di un provvedimento giudiziale provvisoriamente esecutivo e quindi, per così dire, necessitata, non escludeva affatto la volontà dell'Ente di insistere nella contestazione delle pretese della controparte, tanto vero che il ricorso per cassazione già proposto avverso la pronuncia della Curia territoriale, non venne affatto rinunziato.

Ne deriva che la condivisibilità delle critiche formulate dalla ricorrente alla valorizzazione della volontà dell'Ente di tenere distinte le contrapposte e speculari situazioni debitorie e creditorie (valorizzazione sicuramente impropria, a fronte del principio per cui la compensazione opera a prescindere da qualunque accordo intervenuto tra le parti e anche senza la saputa dei debitori, come recitava l'art. 1285 del codice civile del 1865), non giova all'impugnante perchè non scalfisce la tenuta dell'incidenza sull'operatività della compensazione delle perduranti contestazioni del credito vantato dal conduttore.

1.4 Sta però di fatto che il requisito della certezza venne conseguito nel corso del giudizio, essendo stato respinto, con sentenza n. 2273 del 4 febbraio 2005, il ricorso per cassazione proposto dall'Ente territoriale avverso la decisione della Corte d'appello di Palermo.

E allora il primo rilievo che si impone è che la circostanza del passaggio in giudicato della condanna del Comune al pagamento in favore di I. del credito da essa opposto in compensazione, e la connessa questione della incidenza di siffatta statuizione sulla valutazione dell'inadempimento del conduttore, non risultano in alcun modo trattati nella sentenza impugnata e integrano, perciò, una questione nuova. Posto allora che i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello e che è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali, la ricorrente aveva l'onere, rimasto del tutto inosservato, di allegare l'avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito di tali dirimenti fatti, indicando anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr.

Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

Nè è vero,come sostiene la ricorrente (pag. 20 del ricorso), che la Corte d'appello abbia deciso in costanza della controversia sul credito opposto. A ben vedere, infatti, la causa venne da essa assunta in decisione all'udienza collegiale del 28 ottobre 2005, laddove l'udienza di discussione del ricorso per cassazione era già stata celebrata il 28 ottobre del 2004 e la sentenza pubblicata il 4 febbraio dell'anno successivo col numero 2273. Semmai, dal rilievo, contenuto nella pronuncia impugnata, per cui la questione del controcredito vantato dall'odierna appellata è ancora sub judice perchè il ricorso per cassazione non risulta (...) definito, emerge che essa non fu portata a conoscenza del decidente.

1.5 Non è superfluo aggiungere, per gli spunti di riflessione che se ne andranno a trarre nell'esame del secondo mezzo, che il problema giuridico centrale posto dalla ricorrente - l'incidenza della compensazione legale i cui requisiti siano maturati nel corso di un giudizio di risoluzione sulla sussistenza dell'inadempimento che ha originato la relativa domanda - difficilmente avrebbe potuto trovare risposta in mancanza di una puntuale ricostruzione dell'epoca in cui sono via via insorte le poste creditorie hinc et inde vantate, accertamento indispensabile al fine di stabilire il giorno in cui, venuti i due debiti a coesistere, si è prodotta la vicenda estintiva.

Il primo motivo di ricorso deve, in definitiva, essere rigettato.

2.1 Col secondo mezzo la società ricorrente lamenta violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonchè del principio generale di buona fede, omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Rileva, riportando testualmente il contenuto dell'atto di appello (pagine 7 e 9), che in sede di gravame era stato segnatamente evidenziato come il Comune, omettendo di trattenere sulle somme pagate a I. quanto da questa dovuto a titolo di canoni di locazione, aveva violato l'obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede.

Malgrado ciò, il decidente nulla aveva statuito sul punto, così incorrendo nel vizio di omessa pronuncia. Ripercorsi i momenti salienti della vicenda per cui è controversia, e richiamata la nozione di abuso del diritto, torna l'impugnante a ribadire che la condotta del Comune di T - il cui debito, peraltro, sopravanzava di gran lunga la misura del credito da esso vantato nei confronti di I. per canoni di locazione - era assolutamente contrario a buona fede, essendo chiaramente volto a determinare l'inadempimento del conduttore al fine di chiederne successivamente lo sfratto per morosità (confr. Cass. n. 20399 del 2004).

2.2 Le critiche sono fondate.

La Corte territoriale, all'esito di una diffusa esposizione delle censure svolte dall'appellante in punto di gravità dell'inadempimento addebitato al conduttore, ha liquidato i relativi motivi di gravame ritenendoli, in termini puramente assertivi, assorbiti dal rigetto dell'eccezione di compensazione.

Trattasi, all'evidenza, di motivazione meramente apparente, che omette di farsi carico, malgrado le sollecitazioni dell'impugnante, dell'innegabile peculiarità dei rapporti tra le parti il cui sviluppo, se non consentiva di escludere tout court l'inadempimento del conduttore, esigeva puntuali verifiche in ordine alla sua gravità, in un assetto normativo in cui, per consolidato diritto vivente, tale valutazione deve essere operata alla stregua e di parametri oggettivi, attinenti all'economia complessiva del rapporto, e di criteri soggettivi, relativi al comportamento di entrambe le parti e alla eventuale incolpevolezza delle rispettive condotte (confr. Cass. civ., 18 febbraio 2008, n. 3954).

In particolare non poteva il giudice di merito sottrarsi alla valutazione della condotta del locatore in termini di correttezza e buona fede, indiscutibile essendo che la mancata detrazione dei pur reclamati canoni dovuti da I. dalle somme poste in pagamento dal Comune, costituì il passaggio obbligato per la successiva intimazione di sfratto per morosità, intervenuta con assai peculiare tempismo, e ciò tanto più che l'omessa compensazione, peraltro specificamente opposta dalla controparte, costrinse l'Ente a esborsi che ben avrebbe potuto evitare, se non avesse avuto il trasparente intento - di cui andrà scrutinata la corrispondenza a un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico - di cristallizzare e rendere irreversibile l'inadempimento del conduttore.

2.3 Valga al riguardo considerare che, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta delle parti, deve accompagnare il contratto in tutte le sue fasi, da quella della formazione a quelle della interpretazione e della esecuzione (confr. Cass. civ. 11 giugno 2008, n. 15476; Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106), comportando, quale ineludibile corollario, il divieto, per ciascun contraente, di esercitare verso l'altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati (confr. Cass. civ. 16 ottobre 2003, n. 15482) nonchè, il dovere di agire, anche nella fase della patologia del rapporto, in modo da preservare, per quanto possibile, gli interessi della controparte, e quindi, primo tra tutti, l'interesse alla conservazione del vincolo.

Peraltro, l'assenza nel nostro codice di una norma che sanzioni, in via generale l'abuso del diritto - che costituisce il vero punto critico delle risposte giudiziarie di volta in volta sollecitate sul punto - non ha impedito, a una giurisprudenza attenta alle posizioni soggettive in sofferenza, di sanzionare con l'illegittimità la cosiddetta interruzione brutale del credito, e cioè il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito tutte le volte in cui, benchè pattiziamente consentito, esso assuma connotati di arbitrarietà (confr. Cass. civ. 21 febbraio 2003, n. 2642; Cass. civ. 16 ottobre 2003, n. 15482 cit.); ovvero di colpire con l'invalidità la delibera assembleare affetta da eccesso di potere della maggioranza, in quanto adottata ad esclusivo beneficio della stessa e in danno dei soci di minoranza (confr. Cass. civ. 11 giugno 2003, n. 27387), spingendosi al punto da prefigurare, in ambito contrattuale, in nome del dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., un sindacato - anche in senso modificativo o integrativo -dello statuto negoziale (confr. Cass. civ. sez. un. 15 novembre 2007, n. 23726; Cass. civ. 20 aprile 1994, n. 3775; Cass. civ. 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128) nonchè un controllo di ragionevolezza di singole clausole, in funzione di contemperamento degli opposti interessi dei paciscenti (confr. Cass. civ. 18 settembre 2009, n. 20106).

2.4 Con particolare riguardo alle problematiche sottese al presente giudizio, ritiene il collegio che l'apprezzamento della slealtà del comportamento della parte che invochi la risoluzione del contratto per inadempimento pur avendo altre vie per tutelare i propri interessi, non possa non ripercuotersi sulla valutazione della gravità dell'inadempimento stesso, che dell'abuso del creditore della prestazione costituisce l'interfaccia. Non par dubbio infatti che il giudizio di pretestuosità della condotta dell'attore in risoluzione si risolve nel riconoscimento della scarsa importanza dell'inadempimento, avuto riguardo all'interesse dell'altra, a un interesse, cioè, che poteva essere preservato senza ricorrere al mezzo estremo dell'ablazione del vincolo.

L'inemendabile carenza argomentativa della sentenza impugnata su tali, dirimenti profili della controversia, oggetto di specifiche censure rimaste, in sostanza, prive di risposta, impone l'accoglimento del secondo motivo di ricorso.

La decisione va pertanto cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice di merito che dovrà valutare la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di locazione, applicando i principi innanzi enunciati e tenendo conto delle deduzioni dell'impugnante sul comportamento abusivo della controparte nonchè del contesto complessivo dei rapporti tra le parti.

Nell'accoglimento del secondo motivo restano peraltro assorbiti il terzo, volto a sollecitare la condanna dell'Ente ai danni per lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ., nonchè l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune di T, al fine di far valere l'inammissibilità di tale domanda.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie il secondo, assorbiti il terzo nonchè il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.


 

 

 

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